Condominio

Non è «minaccia» la malattia augurata all’amministratore di condominio

di Paolo Accoti


Auspicare una malattia all'amministratore di condominio non può configurare una minaccia, anche se è la leucemia e il simpatico augurio si accompagna a un «Gliela faremo pagare». Premesso che non è corretto decontestualizzare la singola frase dall'intero discorso, prefigurare un male ingiusto indeterminato e generico e, in particolare, la predizione di una malattia incurabile, è circostanza che esula dalla volontà e della capacità di influenza dell'autore della minaccia, inidoneo, pertanto, a condizionare la sfera della libertà morale del soggetto passivo.
In tale contesto, anche la frase estrapolata dal rappresentazione generale, quale quella «gliela faremo pagare», risulta comunque priva di una effettiva portata minatoria, stante l'assoluta genericità e indeterminatezza della stessa, potendo in ogni caso anche risultare compatibile con il proposito di avvalersi degli strumenti legittimi di tutela offerti dall'ordinamento giuridico.
Questo è il principio di diritto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 51618, pubblicata in data 13.11.2017.
Il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto confermava la sentenza di primo grado, resa dal Giudice di pace, che condannava due condomine per il reato di minaccia, ex art. 612 Cp, oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separata sede, nonché alla rifusione delle spese processuali.
Le stesse erano stato ritenute responsabili del reato di minaccia per avere, nell'ambito di un discorso più ampio, rivolto all'amministratore di condominio la frase «gliela faremo pagare», al termine di una lunga serie di recriminazioni sul comportamento posto in essere dall'amministratore, nell'ambito del mandato allo stesso conferito.
Propone ricorso per cassazione il difensore delle condomine il quale eccepisce, tra l'altro, la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo del reato.
In particolare, per avere «il Giudice aveva scorporato la frase «gliela faremo pagare» dal contesto in cui era stata pronunciata (costituito da una lunga serie di recriminazioni, sempre legittime, sul comportamento dell'amministratore) e aveva contraddittoriamente escluso la sussistenza dell'elemento oggettivo per la prefigurazione di una morte per leucemia fulminante, ovviamente indipendente dalla capacità di influenza dell'agente e quindi non sussumibile nel paradigma della minaccia; tale frase, invece, era strettamente connessa nel contesto in cui era stata pronunciata alla prospettata intenzione di «fargliela pagare», letta indebitamente nella sentenza impugnata come dotata di valenza autonoma. Mancava poi l'elemento soggettivo del dolo, inteso come coscienza e volontà di comprimere la libertà individuale del soggetto minacciato; non era possibile, nell'ambito dell'unitario discorso attribuito alle imputate l'animus criticandi dall'autonomo dolo della minaccia».
La Corte di Cassazione ritiene il ricorso fondato e, pertanto, annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Per motivare l'anzidetta decisione la Suprema Corte evidenzia come nel caso di specie non esisterebbe l'elemento oggettivo del reato di minaccia, atteso che «il discorso attribuito alle imputate si caratterizza inequivocabilmente per il suo contenuto e svolgimento unitario».
Infatti «il discorso in questione, non consente di isolare al suo interno, dopo le recriminazioni e le censure rivolte all'operato dell'organo di amministrazione condominiale, ritenute legittime, un'autonoma prefigurazione di un male ingiusto del tutto indeterminato dalla successiva e strettamente connessa predizione della malattia incurabile della leucemia fulminante».
In realtà le frasi sono imprescindibilmente connesse tra loro, tanto è vero che sono state pronunciate in rapida successione, pertanto, «l'intento di “far pagare” agli incaricati dell'amministrazione condominiale le loro colpe veniva perseguito, nella logica del messaggio comunicativo de quo, proprio mediante l'auspicio della malattia, da cui non poteva essere logicamente scisso».
Ciò posto, «il male ingiusto profetizzato, indipendente dalla volontà e della capacità di influenza dell'autore della minaccia, infausto profetizzante, non poteva configurare l'elemento obiettivo del reato che presuppone la prospettazione di un male ingiusto, idoneo a condizionare la sfera della libertà morale del soggetto passivo, che dipenda dalla capacità di influenza del soggetto agente (Sez. 5, n. 4633 del 18/12/2003; Sez. 5, n. 7511 del 17/05/2000; Sez. 5, n. 7571 del 22/04/1999; Sez. 5, n. 8210 del 19/06/1974)».
Infine, «v'è anche da aggiungere che una non corretta considerazione isolata e decontestualizzata della frase intermedia «gliela faremo pagare» sarebbe comunque priva di una concreta valenza minatoria per la sua assoluta genericità e indeterminazione, che la rende compatibile anche con il progetto di avvalersi degli strumenti legittimi di tutela offerti dall'ordinamento giuridico».

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