Condominio

Le parti comuni si cedono in uso esclusivo senza costituire un diritto reale

di Silvio Rezzonico e Maria Chiara Voci

Le parti comuni di un edificio condominiale, come il giardino o il cortile, possono essere cedute in uso esclusivo e perpetuo a uno o più condomini, senza che debba ricorrersi agli strumenti della servitù, della pertinenza o del diritto reale d'uso (art. 1021 c.c.). La questione è da sempre oggetto di discussione, soprattutto perché il diritto d'uso esclusivo e perpetuo si pone in contrasto con l'art.1102 c.c., secondo cui “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”.
La tesi del diritto reale d'uso di cui all'art. 1021 c.c. è certamente la più debole, non fosse altro perché questo tipo di diritto non può essere perpetuo: si esaurisce infatti con la vita dell'usufruttuario e, nel caso di persona giuridica, non può protrarsi oltre i trent'anni. E inoltre, come disposto dall'art. 1024 c.c., è inalienabile.
Un secondo orientamento ha identificato il diritto d'uso esclusivo e perpetuo come una servitù, a carico delle parti comuni: si veda ad esempio Tribunale Milano 02/04/2008, n° 4826. Senonché, la tesi è poco soddisfacente, posto che mal si concilia con la normativa condominiale, per la quale il titolare delle parti comuni assoggettate a servitù è lo stesso condomino.
A sua volta, con la sentenza del 4 giugno 1992 n. 6892, la Cassazione ha inquadrato il diritto d'uso esclusivo e perpetuo come un diritto pertinenziale.
Secondo i giudici ermellini, il regolamento contrattuale condominiale può contenere “oltre all'indicazione delle parti dell'edificio di proprietà comune ed alle norme relative all'amministrazione e gestione delle cose comuni, la previsione dell'uso esclusivo di una parte dell'edificio definita comune a favore di una frazione di proprietà esclusiva. In tal caso il rapporto ha natura pertinenziale, essendo stato posto in essere dall'originario unico proprietario dell'edificio, legittimato all'instaurazione ed al successivo trasferimento del rapporto stesso ai sensi degli artt. 817 e 818, secondo comma, c.c.”.
A segnare una vera a propria svolta nel contrasto giurisprudenziale in essere è peraltro intervenuta la sentenza della Corte d'Appello di Milano n. 2873 del 31 ottobre 2007 – estensore Piombo – che rappresenta un sicuro punto di riferimento che riteniamo di condividere. Secondo la Corte ambrosiana, il diritto di uso esclusivo e perpetuo è contemplato dalla stessa disciplina condominiale, che di fatto non esclude come alcune parti comuni di un edificio possano essere assegnate a uno o più condomini attraverso un atto negoziale: si pensi, ad esempio, al lastrico solare che, come previsto dall'art.1126 c.c., pur fungendo da copertura per l'intero edificio, può essere concesso in uso esclusivo. Ed infatti, la disciplina condominiale non esclude che parti comuni dell'edificio – che non siano indispensabili per la sua stessa esistenza – possano essere destinate a uso esclusivo di un condomino, per effetto di un atto negoziale, operando in tal caso i limiti di cui all'art. 1102 c.c.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©